Trentuno mangia tutti!

di Manuela Gialanella
– Biologia

Crediti: UnSplash

Eccoci finalmente trovati con la terza, e per ora ultima, tappa del nostro viaggio nell’impensabile mondo del mimetismo, ovvero la capacità che alcuni animali hanno di imitare elementi della natura allo scopo di nascondersi. Se vi siete persi le prime due, potete recuperarle qui e qui.

Poche trilogie sono state così appassionanti, lo so. Hunger Games e Twilight ci fanno un baffo.

Ma manteniamoci umili, e andiamo a cominciare: stiamo per incontrare una creatura antica e gigantesca, una tanto minuscola quanto temibile e, infine, una che spesso si trova sulle nostre tavole.

Chiudiamo col botto: ci addentriamo nel mondo dei predatori che sfruttano il mimetismo per non farsi vedere dalle prede, e quindi per cacciare.

La prima creatura a cui accennavo, antica e gigantesca, si può incontrare negli Stati Uniti, dove in alcune paludi fra la Florida e il Tennessee ci sono dei grossi sassi che sembrano avere la strana abitudine di azzannare qualsiasi cosa capiti loro a tiro.

Come è possibile? Beh lo è perché in realtà non sono sassi bensì tartarughe, tartarughe azzannatrici alligatore per la precisione (Macrochelys temminckii). Un nome che è tutto un programma.

Si tratta di rettili acquatici, simili alle tartarughe che comunemente anche noi teniamo in casa, se non fosse per un minuscolo dettaglio, ovvero che possono pesare fino a 112 kg per 70 cm di lunghezza (i maschi in particolare).

Il corpo squamoso è protetto da un guscio ricco di spuntoni, mentre la bocca è una sorta di becco affilatissimo, che può rompere un melone come se fosse un’arachide.

Tutte caratteristiche che valgono il titolo di animale meno coccoloso del mondo.

La loro più grande arma però è la pazienza, visto che passano ore immobili – arrivando anche a 50 minuti consecutivi in apnea – ad aspettare che una preda abbastanza appetitosa si avvicini.

Ma quale pesce sano di mente si avvicinerebbe a uno schiaccianoci corazzato e affamato?

Ottima domanda! E qui torniamo al mimetismo. Infatti, vivendo in acque basse e relativamente stagnanti, il loro guscio si ricopre lentamente di alghe che donano loro un aspetto simile a quello di un semplice, e innocuo, sasso (certamente anche la mole aiuta, e infatti sono davvero molto credibili).

Ma le Macrochelys hanno un altro asso nella manica, un’arma segreta per così dire.

Avete presente il vecchio proverbio che recita “Di molti malanni la lingua è cagione”? Qui è particolarmente calzante.

Difatti, mentre stanno belle sdraiate sul fondo fra le loro alghette, tengono la bocca aperta e agitano la lingua.

La lingua che ha una piccola protuberanza carnosa di colore rosa, quando viene mossa, ricorda un bel vermetto gustoso. Come un buon pescatore, la tartaruga getta la sua esca e aspetta, finché il pesce goloso di turno non diventa la cena del giorno. In questo caso quindi il mimo imita ben due cose: un sasso e un verme!

Purtroppo ci sono scarse possibilità di riuscire a vedere questi affascinanti giganti in natura, ma non vi preoccupate perché la prossima bestiola della lista si trova anche qui da noi e, guardando abbastanza attentamente dentro un fiore, potreste incontrarla.

Sto parlando di un gruppo di ragni, i Thomisidi, noti come “ragni granchio”, anche se non hanno le chele. Come tutti i ragni sono predatori da agguato ma, a differenza dei loro simili più famosi, non costruiscono tele e non fanno urlare gli aracnofobici in bagno.

Sono piccoli, colorati, e vivono dentro diverse tipologie di fiori, in cui si mimetizzano imitandone il colore, un po’ come delle fatine a otto zampe.

In particolare, possono passare dal bianco al giallo con disinvoltura, per cui, una volta arrivati nel fiore ne imitano il colore, restano fermi, in attesa. Quando un insetto si posa sui petali, attratto dalla prospettiva di una bella scorpacciata a base di nettare, la natura gioca una notevole carta “UNO reverse”, e il nuovo arrivato finisce dritto fra le zampe del ragno, che sarà l’unico a farsi una bella mangiata.

Alcuni ragni granchio però non si limitano a mimetizzarsi e a tendere questi spettacolari agguati. Recenti studi hanno dimostrato che una specie australiana, Thomisus spectabilis, è criptica, cioè mimetizzata, sulla margherita bianca Chrysanthemum frutescens, ma solo all’occhio umano, mentre è in realtà molto appariscente per gli insetti.

Quindi noi non lo vediamo, ma le potenziali prede sì, e bene anche! Questo perché assume una colorazione particolare ai raggi ultravioletti, che sono invisibili per i nostri occhi, ma possono essere invece percepiti da molti insetti, come le api del miele, Apis mellifera.

Gli studi hanno rivelato che, stranamente, le api, invece di essere impaurite come ci si potrebbe aspettare, sono attratte di più dai fiori su cui sono presenti i ragni, quasi ammaliate dal contrasto colorato del corpo del predatore con i petali.

Per questo motivo si avvicinano e zac! anche loro diventano prede del ragno, che ne va estremamente ghiotto.
Sembra quindi che questa specie riesca a sfruttare la preferenza delle api per i fiori con motivi cromatici particolari, usandoli come esca, similmente alla lingua-verme della tartaruga: e meno male che si chiama Thomisus spectabilis!

A questo punto, temo che nessuno degli animali visti fin ora vi abbia esattamente fatto esclamare “Che carino!”, e così ho pensato che fosse opportuno concludere questa breve carrellata dei maestri del mimetismo predatorio con l’animale brutto per eccellenza, almeno dalle nostre parti.

Ebbene sì, sto parlando dello scorfano, o Scorpaena porcus.

Siamo abituati a vederlo in tavola, per la gioia degli amanti del pesce e la minore gioia di chi deve pulirlo, dato che ha una serie di aculei velenosi sul dorso, che sono in realtà strutture di sostegno della pinna dorsale. Il suo nome inglese – pesce scorpione – coglie meglio la sua particolarità: la puntura degli aculei, sebbene non letale, può essere infatti ben poco gradevole.

Mia mamma, se sta leggendo, si ricorderà bene di quella volta in cui la sua mano diventò in modo tragicomico simile a un palloncino dopo che si era punta con uno di questi aculei mentre preparava, per la cena di Natale, lo scorfano più grande che io avessi mai visto.

Ad ogni modo, non è il veleno che rende lo scorfano il temibile predatore che è, dato che lo usa solo per difendersi. La sua vera forza sta nella bruttezza.

Il colore marroncino-rossastro, la pelle butterata e piena di escrescenze, tutto fa sì che sott’acqua si mimetizzi perfettamente nei tappeti di piante acquatiche e alghe brune o rosse che ricoprono gli scogli in cui abita, tappeti che attraggono puntualmente una grande varietà di pesci in cerca di cibo.

Ormai avrete capito lo schema: il predatore di agguato, forte delle sue capacità mimetiche, riesce ad aspettare, invisibile agli occhi della preda, ed è pronto a scattare al momento giusto.

E così fa anche lo scorfano, ingollando una dose notevole di piccoli pesci, e dimostrando che nella vita non basta essere di bell’aspetto, anzi che a volte non conviene.

Dopo aver tutti mentalmente ringraziato per non essere nati pesci né insetti (per cui queste strategie di caccia decisamente inquietanti non ci riguardano) è arrivato il momento di salutarci.

Come, vi viene da piangere? Lacrime incontrollabili? Ma no, ma no, ci rivedremo presto, con altre storie bizzarre e spero, accattivanti.

Grazie, intanto, per essere arrivati fin qui!

Manuela Gialanella (Collaborazione)

Laureata in Biologia all’Università degli Studi Federico II di Napoli, ha svolto attività di comunicatore scientifico e guida museale presso la Fondazione Dohrn di Napoli e si è occupata di attività guidate, supporto nella produzione di materiali didattici e informativi, allestimenti museali e progettazione laboratori didattici per la  Stazione Zoologica “Anton Dohrn”, dove ha anche svolto il tirocino presso il dipartimento di Animal Care and Public Engagement.

Con La Lampada delle Scienze, Manuela collabora scrivendo articoli scientifici divulgativi.