L’abito fa il monaco…a volte
di Manuela Gialanella
– Biologia

Crediti: PxHere
Il mese scorso abbiamo conosciuto un insetto tanto bizzarro quanto incredibile che utilizza il mimetismo, cioè la capacità di imitare alcuni elementi della natura, per nascondersi nella vegetazione allo scopo di difendersi.
Tuttavia, nel regno animale come anche in quello vegetale, non tutti hanno intrapreso la strada dei timidi insetti foglia e anzi alcune specie hanno sviluppato la capacità di mimetizzarsi mettendosi in mostra, spesso con colori sgargianti.
Se vi state chiedendo come sia possibile, allacciate le cinture ed entriamo insieme nel mondo di quelle creature “furbette” capaci di travestirsi e ingannare tutti i predatori pur rimanendo in bella vista: gli esperti del mimetismo batesiano.
Questa tipologia di mimetismo, che deve il nome allo scienziato che per primo ne descrisse i canoni, prevede che una specie – innocua – imiti l’aspetto, e talvolta anche il comportamento, di una specie velenosa o inappetibile per i suoi nemici.
Uno dei casi più famosi è sicuramente quello dei bellissimi serpenti corallo e dei falsi corallo, detti anche serpenti del latte.
I primi sono molto velenosi e segnalano la loro pericolosità con una colorazione, chiamata aposematica (cioè di avvertimento), ad anelli rossi, neri e bianchi o gialli. Il loro aspetto così particolare funge appunto da segnale di pericolo, invitando tutti a girare al largo per evitare morsi dolorosi o letali.
In diverse parti del loro areale però questi letali animaletti striscianti sono imitati in maniera quasi impeccabile, con un motivo ad anelli molto simile nei colori, da specie che sono poco o per nulla velenose. Note proprio con il nome di falsi serpenti corallo, appartengono a generi Lampropeltis, del quale fanno parte anche popolari animali da compagnia abbastanza diffusi in Italia, ad esempio il cosiddetto “serpente reale”, Lampropeltis getula.
I predatori, quindi, allertati dai colori vistosi dei falsi corallo, li evitano con timore, anche se sarebbero in realtà uno spuntino ideale. Un po’ come i sosia dei VIP che vengono pagati per presenziare a feste ed eventi, questi animali traggono vantaggio dalla loro somiglianza con i “pezzi grossi”.
Di recente qualcosa di molto simile è stato osservato per la prima volta nelle formiche, uno dei gruppi di insetti più vario e affascinante che abbia mai zampettato sul pianeta.
In questo caso le protagoniste sono delle piccolette appartenenti al genere Camponotus (specie ancora non descritta) e altre appartenenti alla specie Crematogaster inflata. Entrambi i gruppi hanno una caratteristica colorazione gialla e nera, e si muovono in modo quasi identico. Tuttavia, solo le C. inflata producono un fluido appiccicoso contenente sostanze chimiche tossiche che rilasciano quando disturbate e che le rende decisamente spiacevoli come pasto.
Per verificare se la loro somiglianza fosse un caso di mimetismo batesiano, alcuni ricercatori hanno condotto un esperimento, esponendo le povere formiche all’ira di uno dei predatori più temibili al mondo… il pulcino!
Ebbene sì, hanno proposto come pasto ad alcuni pulcini formiche appartenenti a entrambe le specie, scoprendo che inizialmente i pulcini mangiavano con gusto le Camponatus ma, dopo aver assaggiato C. inflata, non le attaccavano più confondendole con la specie sgradevole da poco provata: ci sono tutte le carte in regola per parlare di mimetismo batesiano! Non è finita qui: sembra che la somiglianza sia talmente spiccata da gabbare anche le stesse C. inflata, che condividono volentieri le loro prede con le Camponotus, probabilmente scambiandole per loro sorelle.Questo potrebbe portarci un po’ a rivedere l’idea di tutte le formiche come creaturine oneste e operose che è stata tramandata da una popolare canzone per bambini, e di contro rivalutare le povere cicale, ingiustamente additate come fannullone.
Affinché questo tipo di strategia funzioni la specie imitatrice e quella imitata devono, di solito, vivere nello stesso territorio (non avrebbe molto senso mascherarsi da guardia inglese per confondersi nella folla a Roma). Inoltre, i furbetti non possono essere troppi, altrimenti un predatore che dovesse accidentalmente scoprire l’inganno potrebbe danneggiare l’intera popolazione.
Questo fenomeno è stato osservato in tempo reale nell’arcipelago giapponese di Ryukyu, casa delle farfalle Papilio polytes. Tra loro solo le femmine sono versate nelle arti del mimetismo batesiano. Fino agli anni ’60 nell’arcipelago era nota una sola forma di colorazione femminile, con le ali abbastanza scure e prive di macchie bianche. Tuttavia, nei decenni successivi arrivò e si diffuse in varie isole una nuova specie di farfalla, venuta dalla terraferma, la P. aristolochiae, con ali adornate da macchie bianche e un sapore decisamente sgradevole per il palato dei pennuti. Ben presto le femmine di P. polytes locali iniziarono a imitare queste nuove modelle, sviluppando anch’esse regioni bianche sulle ali e consentendo così una vera e propria osservazione diretta dell’insorgenza del mimetismo batesiano, uno dei rarissimi casi in cui è stato possibile ammirare l’evoluzione all’opera.
Gli uccelli locali, infatti, turbati dall’incontro con le tossiche P. aristolochiae, iniziarono a schivare anche le P. polytes più simili.
Assurdo vero?
Va da sé che, al di là dei giudizi scherzosi, nessuna delle specie sopracitate è furba nel senso umano del termine. Ciascuna di esse tenta soltanto di sopravvivere e ha sviluppato queste capacità di imitazione attraverso semplici, si fa per dire, meccanismi evolutivi.
Rimanete nei paraggi, perché le sorprese nascoste nel mondo del mimetismo (pun intended) non sono ancora terminate e il prossimo mese, se non saremo troppo impegnati a preparare i costumi per Carnevale, scopriremo il mondo inquietante di chi usa il mimetismo per tendere agguati alle sue prede, sbloccando così nuovi incubi per tutti (scherzo ovviamente…forse).

Manuela Gialanella (Collaborazione)
Laureata in Biologia all’Università degli Studi Federico II di Napoli, ha svolto attività di comunicatore scientifico e guida museale presso la Fondazione Dohrn di Napoli e si è occupata di attività guidate, supporto nella produzione di materiali didattici e informativi, allestimenti museali e progettazione laboratori didattici per la Stazione Zoologica “Anton Dohrn”, dove ha anche svolto il tirocino presso il dipartimento di Animal Care and Public Engagement.
Con La Lampada delle Scienze, Manuela collabora scrivendo articoli scientifici divulgativi.