Scienza, guerra e pace

di Riccardo Federle
– Editoriale

Crediti: Riccardo Federle

Sono mani delicate quelle che fanno la guerra, quasi quanto invece sono ruvide e callose quelle che si adoperano per costruire la pace. C’è una differenza sostanziale tra la prima e la seconda categoria, infatti. Di solito, chi decide per il conflitto, le mani le fa sporcare solo agli altri.

E così, in questi giorni, siamo ricaduti nel solito tranello: quello, cioè, dei potenti che giocano la loro partita sulla pelle dei più, nel completo disinteresse delle esigenze dei popoli.

La guerra è, ahimè, figlia disgraziata della scienza, la quale, da madre matrigna, dona alla sua prole ogni possibilità di crescita ma si disinteressa anche degli esiti, lasciando la completa libertà di scegliere come usare i propri talenti.

E così, dal tempo in cui la polvere nera, come vuole la leggenda più che la storia, era solo un grande vanto per le feste artistiche e i fuochi d’artificio alle corti degli imperatori cinesi… si è pian piano arrivati, grazie al primo ingegno militare di Gengis Khan e, successivamente, a quello di molti uomini di scienza, a farla diventare l’arma più temuta al mondo.

Oggi i fucili imbracciati da giovani senza un futuro sono la carta d’identità di un’umanità sconfitta. Civili morti, feriti, sfollati, rifugiati nei bunker come bestie assieme ai figli spaventati rappresentano l’altra faccia della medaglia di governi che, con apparente nobiltà d’animo, inseguono sogni di potere.

Mai più vere e sempre attuali, dunque, le parole di Tacito che, già al tempo di Roma, contestava la barbaria della guerra mascherata da processo di civilizzazione. Il famoso storico, infatti, descriveva la situazione con queste parole: “Predatori del mondo intero, adesso che mancano terre alla loro sete di totale devastazione, vanno a frugare anche il mare: avidi se il nemico è ricco, arroganti se povero, gente che né l’oriente né l’occidente possono saziare; loro soli bramano possedere con pari smania ricchezze e miseria. Rubano, massacrano, rapinano e, con falso nome, lo chiamano impero; infine, dove fanno il deserto, lo chiamano pace”.

Viene da chiedersi davvero quale sia, sia stato e possa essere il ruolo della scienza in tutto questo. Ma, in effetti, l’idea che gli scienziati possano diventare degli ambasciatori indiretti, collaterali al mondo politico ed alla diplomazia ufficiale, ma essenziali per le decisioni da prendere, è ben radicata nella storia. A partire dagli anni sessanta, infatti, furono molti i casi in cui gli Stati Uniti introdussero dei consulenti scientifici nelle maggiori ambasciate del mondo: questi trovarono posto nelle tavole rotonde inerenti alle questioni più spinose, prima tra tutte quella delle armi nucleari.

A proposito di ciò mi torna alla mente anche il film del 2018 “Red Joan”, thriller di spionaggio ispirato alla storia vera di Melita Norwood, scienziata giudicata da molti storici della guerra fredda come la più importante agente donna mai reclutata dall’URSS.

Melita, grazie agli studi scientifici e al suo lavoro presso la British Non-Ferrous Metals Research Association, rubò informazioni riservate sul programma atomico britannico passandole ai russi negli anni ’40 e ’50. Fu scoperta dagli inglesi solo nel 1992 e l’agente segreto, ormai ottantenne, non venne mai perseguita.

“Ho fatto quello che ho fatto”, ammise, “non per fare soldi, ma per aiutare a prevenire la sconfitta di un nuovo sistema che aveva dato, a caro prezzo, alla gente comune cibo e tariffe che potevano permettersi, una buona istruzione e un servizio sanitario”. E non si può dire che non abbia funzionato: dal momento in cui anche i russi sono venuti in possesso della bomba atomica, infatti, non si sono più ripetuti tragici eventi come quelli di Hiroshima e Nagasaki.

Altro caso degno di nota è quello di Albert Einstein, scienziato e pacifista, il cui impegno per il disarmo nucleare è stato studiato da Pietro Greco, famoso giornalista scientifico scomparso prematuramente nel 2020 e che noi della Lampada delle Scienze abbiamo avuto la fortuna di avere come docente. Lo scienziato tedesco, assieme ad altre menti illustri del tempo, è stato il sottoscrittore del noto manifesto Russell-Einstein nel quale si auspicava, data la “tragica situazione cui l’umanità si trova” che gli scienziati potessero “riunirsi in conferenza per accertare i pericoli determinati dallo sviluppo delle armi di distruzione di massa e per discutere una risoluzione”.

Da destra: Melita Stedman Norwood (nome in codice Hola) – quando era attiva come agente segreto URSS ed al momento della scoperta del suo operato,  (Bournemouth, 1912 – Wolverhampton, 2005); Bertrand Arthur William Russell, filosofo, logico, matematico e saggista britannico (Trellech, 1872 – Penrhyndeudraeth1970); Albert Einstein, fisico (Ulma, 1879 – Princeton, 1955).

Ecco allora lo sguardo al futuro: quello di una scienza per la pace. E se avessi la stessa fantasia di Gianni Rodari che nella sua poesia “Promemoria” ci ricorda che “ci sono cose da non fare mai, né di giorno né di notte, né per mare né per terra: per esempio la guerra” mi verrebbe da fantasticare un po’. E allora come vorrei una scienza che opera per il bene della gente, fatta di lavoro ma anche di divertimento e stupore. E come mi piacerebbe che, ogni tanto, bastasse qualche “iniezione di scienza” a sciogliere angherie e battaglie.

Saremo anche una piccola comunità ma noi, come Lampada delle Scienze, ci impegniamo con costanza anche verso questa direzione. Perché, per citare un altro grande maestro di vita (Lucio Anneo Seneca) … “anche se il timore avrà sempre più argomenti, noi scegliamo la speranza”.