Editoriale – Ridotti all’osso

di Riccardo Federle
– Editoriale

Una foto simpatica al MUSME (Museo di Storia della Medicina di Padova) mentre stringo la mano (o ciò che ne resta) alla riproduzione di uno scheletro umano (crediti: Riccardo Federle)

Niente da fare, è finito il tempo più prospero dell’anno: quello delle elezioni. Pare non ci sia periodo migliore di questo, infatti, per chi ha sogni da realizzare … tanto che mi verrebbe da commentare come ci sarebbe quasi da augurarsi di viverle con una frequenza superiore: nelle ultime settimane animi e cantieri si sono risvegliati come funghi brulicanti in un umido sottobosco e hanno ricoperto di promesse il futuro di paesi e città.

Il tutto si accompagna in modalità quasi inevitabile alle opinioni discordanti e spesso sconfortate di chi si trova la responsabilità di scegliere quello che molti indicano come “il male minore”. “Si stava meglio una volta” verrebbe da dire. Ma credo che se avessimo un binocolo capace di accorciare il tempo quanto lo spazio non giungeremmo a chissà quali buone notizie nemmeno puntando il cannocchiale verso i modelli che ci risultano essere stati i più virtuosi capisaldi di una politica prospera e sana. Pensiamo ad esempio alla città di Atene, da sempre considerata e insegnata dalla storia quale indubbia culla di democrazia: purtroppo anche lì mentre all’inizio il candore delle istituzioni poneva attenzione al pensiero anche del più invisibile dei cittadini, nel giro di pochissimi anni la scena politica si arricchiva delle trame di corruzione e manipolazione. Così demagoghi inevitabilmente spudorati prendevano sempre più spazio e potere all’interno del panorama amministrativo e conquistavano la fiducia degli altri abitanti con il solo strumento delle parole o, tutt’al più, di vane promesse.

Sembra perciò di continuare a dipingere un quadro alquanto deludente se dopo migliaia di anni ci ritroviamo ancora punto a capo: “historia magistra vitae” (storia maestra di vita) recita l’antico detto. E invece, più che imparare dal passato, pare che il tempo corroda via via tutti i buoni propositi fino a giungere ad un esito così scarnificato che ci fa dire di essere praticamente ridotti all’osso.

Dove si può trovare perciò il bandolo di una matassa politica che sembra sempre più aggrovigliata e confusa?

Mi ha colpito rispetto a questo un recente video comparso su TikTok nel quale “Ultimo”, pseudonimo del cantautore romano Niccolò Moriconi, dichiarava apertamente come “i suoi coetanei non votano e non vanno a messa”. In sostanza, quindi, nessuno sembra più fidarsi delle istituzioni preferendo a queste il dolce anestetico proposto dai social media…

Chiaramente si tratta di concetti molto impattanti che non faticano a scatenare l’opinione pubblica ma che, in verità, a prescindere dal dilemma religioso, risultano prima di tutto un sintomo evidente di una generazione che sembra aver perso quei valori basilari che sono stati la forza delle epoche precedenti e che, forse, garantivano quella stabilità che oggi sembra non permeare più le trame della società. Avrà dunque ragione il giovane artista a sollevare questo problema profondamente radicato nelle nuove generazioni?

Mi piacerebbe invitarvi a ragionare su questo a partire da una ulteriore citazione:

La nostra gioventù ama il lusso, è maleducata, se ne infischia dell’autorità e non ha nessun rispetto per gli anziani. I ragazzi, inoltre, non ascoltano più i loro genitori. La fine del mondo non può che essere vicina”.

Se vi chiedessi un possibile autore di questo scritto a chi potreste pensare? Sareste più orientati ad estrarre queste parole dal probabile cospicuo dibattito apertosi con le affermazioni di Ultimo oppure vi risulterebbe più assimilabile alla voce di un antropologo, sociologo o scienziato contemporaneo, forse semplicemente un po’ pessimista? Se avete pensato a una di queste opzioni direi che è tutto nella norma. O meglio, direi che sarebbe tutto nella norma se non si trattasse in effetti di una citazione di Socrate, filosofo vissuto tra il 469 e il 399 prima di Cristo.

Da sinista una foto panaromica del MUSME ( Museo di Storia delle Medicina di Padova) e un busto do Socrate conservato al British Museum di Londra  (crediti: Riccardo Federle).

Già quindi allora, nel panorama più raggiante del classicismo greco, quello che ci viene presentato con i racconti delle grandi biblioteche e dei pensatori che, lungo le strade, si sollazzavano con disquisizioni sul senso della vita … in realtà c’era un mondo molto più reale, fatto di nuove generazioni in controtendenza, alla costante ricerca di una rottura con il passato.

Non sembra quindi colpa dei giovani. Anzi: forse il problema è generato proprio dalla risposta istintiva che chi vive il presente è costretto a dare ad un tempo sempre più incerto e privo di merito.

Le generazioni di adulti appaiono quindi deluse dai giovani principalmente perché si limitano ad un giudizio “dal divano” e dimenticano non solo le difficoltà che loro stessi hanno affrontato per raggiungere lo status che stanno vivendo ma anche la profonda diversità tra il nuovo contesto e i loro tempi: la frenesia dell’oggi, infatti, risulta un carburante acerbo che impone alle nuove generazioni di confrontarsi non solo con il fattore delle competenze ma anche con quello della velocità. I cambiamenti eccessivamente repentini diventano quindi uno degli ostacoli principali alla stabilità sociale, economica e anche emotiva.

Cosa fare dunque per ribellarsi all’incertezza se non ostentare un grido che chiede semplicemente di essere ascoltato? Ce la faremo ad avere una politica accogliente, fatta di ascolto ma soprattutto di servizio? Proveremo per una volta a mettere l’uomo come fine ultimo e non come mezzo per raggiungere altri scopi?

Se questo ci risulta così complesso è forse perché l’evoluzione fisica del genere umano non sempre è stata equamente accompagnata da un’altrettanta evoluzione morale e spirituale.

C’è chi è ben convinto, ad esempio, che sia necessario non guardare in faccia nessuno. Ma la scienza non è d’accordo. E, come sa fare bene, ce lo dimostra…

È perciò un bianco e minuscolo topolino, impaurito ed estremamente affamato il protagonista del racconto di oggi: vive in una piccola gabbia di un laboratorio dove viene sottoposto agli esperimenti del ricercatore Russel Church (Brown University). L’animale digiuna da molto tempo ma sa benissimo come procurarsi il cibo perché è stato addestrato esattamente per questo: gli basterebbe premere una leva per far scendere tutto il necessario per riempirgli la pancia. Ha compreso a pieno il funzionamento di quel meccanismo di gratificazione: eppure non lo fa e da diversi giorni non mette in bocca nulla. Il problema è che, in una gabbia proprio vicino alla sua, è posizionata un’altra cavia di laboratorio altrettanto spaventata le cui zampe tuttavia poggiano su una griglia elettrizzata. Ed ogni volta che il nostro protagonista preme la leva per chiedere il suo premio una scossa molto violenta si scatena ai piedi del vicino di cella. Il topo è intelligente e ci ha messo poco per connettere i due eventi: perciò ha deciso di non tirare più la leva. Ha deciso che è meglio morire di fame piuttosto che sentire il compagno di prigionia che si lamenta contorcendosi dal dolore, piuttosto che essere lui la causa di quel dolore.

E lo fa pur non avendo mai visto prima l’altro animale che non è un suo familiare, non è un amico, non è qualcuno a cui deve qualcosa. Lo fa e basta, per principio. Lo fa nonostante sia solo un topo, anche se non è ispirato dai più alti principi della democrazia, pur non sapendo nulla di cosa sia la politica, anche se non ha mai letto Dante o la Costituzione Italiana. Si comporta così ma non è un maestro di Bon Ton, non si è mai laureato e non è affine alla filosofia o alla morale … Semplicemente ha dentro di sé un’unica forza che gli dice di non premere quella leva, di non infliggere quel dolore, qualsiasi sia il prezzo. Quanto meno per rispetto a quell’altro soggetto che, pur se diverso da lui, combatte e soffre allo stesso modo per riuscire a vivere o, meglio, a sopravvivere.

Da un semplice esperimento con topi in laboratorio ci sembra perciò di poter ricavare forse il più alto tra i valori che dovrebbero ispirare l’umanità: quello della cura dell’altro. E quante volte, invece, viviamo l’esatto opposto?

Ma non serve essere per forza spiccati esponenti di qualche partito politico per rischiare di diventare disumani. Noi corriamo questo rischio tutti i giorni, ogni volta che ci viene data la responsabilità di una scelta nei confronti di altri: quanto può pesare la nostra parola su un contratto, una promozione, un difetto fisico, una competenza, un delicato equilibrio familiare? Siamo davvero moralmente preparati ad affrontare le conseguenze di scelte fatte o parole dette troppo spesso con estrema superficialità?

Noi soggetti evoluti dotati di intelletto, cultura, motivazione, senso di giustizia… potremmo essere molto di più se solo riuscissimo a fare un piccolo passo indietro, per recuperare il medesimo istinto di quei topolini in gabbia che li ha resi esseri migliori. 

Mi sento allora, per concludere, di augurare ai nostri nuovi politici tutto questo, ma lo auguro anche a tutti noi. La scienza ci dimostra che il tempo scorre in modo incessante e inesorabile e, personalmente, credo sarebbe davvero un peccato sprecarlo con il cuore indurito.