La scienza del talento

di Riccardo Federle
– Editoriale

Nella foto sono in compagnia di una testuggine al Monastero di San Fruttuoso a Camogli. Le tartarughe sono da sempre un esempio virtuoso, nelle storie per bambini, di pazienza e perseveranza. Uno dei racconti più famosi ne vede una avversaria, per una gara di corsa, di una lepre con troppa autostima che finisce per sottovalutare la costanza del rettile. Una visione ottimistica e meritocratica: con calma il talento porta sempre ad un risultato (Crediti: Riccardo Federle)

La scienza è figlia del talento. Da sempre, infatti, il progresso scientifico è il prodotto delle abilità, dell’ingegno e delle capacità degli uomini che si sono adoperati in tal campo. Questo perché richiede notevoli doti di osservazione, ragionamento e creatività oltre ad una solida formazione e ad una costante curiosità. Ma cambiando livello di interpretazione potremmo aggiungere che la scienza è anche un prodotto della cultura, della storia e dell’evoluzione dell’umanità che ha permesso di sviluppare sistemi di pensiero, linguaggi e strumenti di indagine sempre più sofisticati.

E proprio qui sta il punto chiave della mia riflessione: per quanto ancora, infatti, le doti umane saranno una condizione necessaria al fine di produrre risultati scientifici? Quando ci capiterà, invece, di superare quel limite non scritto e di vedere una scienza che procede da sola, addirittura senza bisogno dell’uomo?

Forse in alcuni casi sta già succedendo: sto parlando, ad esempio, delle evoluzioni che, tramite l’Intelligenza Artificiale, hanno permesso di creare chat virtuali di dialogo in grado di formulare pensieri complessi e testi elaborati a partire da piccoli input o domande. Si tratta, indubbiamente, di una rivoluzione: se prima l’accostamento delle parole era un lavoro paziente, ricercato e minuzioso di poche menti privilegiate ora praticamente chiunque può attingere ad un portale virtualmente infinito di riformulazioni linguistiche.

La preoccupazione che rimane, però, è quella di una possibile mancanza di meritocrazia: si potrebbe cercare allora di ricevere rassicurazioni partendo dal presupposto che qualsiasi strumento diventa utile solo nelle mani di chi lo sa utilizzare. Ma in questo caso forse non è proprio così: le chat virtuali di intelligenza artificiale sono infatti davvero basilari e funzionano come un normale scambio di messaggi tra due amici. Non servono pertanto troppe competenze per riuscire ad accedervi.

Per il mondo della divulgazione scientifica si tratta decisamente di una grande frontiera che merita di essere indagata e compresa: e noi, come primo passo, abbiamo deciso di affidare un approfondimento in proposito proprio a quella generazione che ci è sembrata più implicata nei possibili risvolti di questo sviluppo.

Dallo scorso anno la nostra associazione porta avanti un innovativo progetto di PCTO (Progetti per le Competenze Trasversali e l’Orientamento) al liceo scientifico Enriques di Livorno: un numero programmato di studenti si sperimenta prima in un percorso didattico per acquisire competenze divulgative e, successivamente, in un prototipo di redazione scientifica per mettere in pratica quanto appreso. Ai cinque ragazzi selezionati per questa seconda parte di attività è stato affidato proprio l’argomento dell’intelligenza artificiale.

Sono decisamente curioso, assieme a voi, di scoprire che cosa emergerà dalle loro ricerche e soprattutto quali saranno le previsioni per il prossimo futuro. La tecnologia, negli ultimi anni, ci ha abituato ai grandi progressi nel poco tempo: ma a dispetto dei passi già fatti mi sentirei di dire che, in questo caso, abbiamo a che fare con un salto non indifferente. Non mancano perciò le preoccupazioni nel pensare a ciò che potrà accadere, nel bene e nel male, grazie o a causa di uno strumento tanto raffinato.

In Italia, il dibattito non è mancato e continua tutt’ora ad essere l’argomento principale di tante testate giornalistiche. Questo in modo particolare dopo che il Garante della Privacy si è mosso bloccando ChatGPT, il più noto tra i software di intelligenza artificiale di proprietà della società OpenAI, che lo scorso 20 marzo aveva subito un data breach, ossia una perdita di dati (nella forma di conversazioni fittizie tra utenti e hardware) a discapito degli utenti.

Ma parliamoci chiaro: non sarà certo questo che bloccherà l’evoluzione. Dovremmo ormai essere tutti ben consapevoli del fatto che i nostri dati personali riempiono la rete ad ogni tocco di smartphone e quindi con alcune, dovute, correzioni, anche le chat virtuali ritorneranno attive verso il pubblico.

Credo a questo punto che nel grande mare delle opinioni rimarrà solo il tempo a darci una soluzione: e noi, allora, pazienteremo ma saremo resilienti, come la tartaruga lo è stata con il suo avversario.

Comunque vadano le cose c’è da dire però che nulla potrà mai togliere l’emozione, il gusto e l’utilità dell’esperienza diretta. La scienza, vissuta in prima persona, è tutta un’altra storia: e noi siamo qui a raccontarvela proprio per questo.

Per sperimentare la scienza in prima persona c’è sempre la possibilità, come cerco di fare io, di organizzare qualche fuga naturalistica nel weekend. L’ultima, ad esempio, mi ha portato a delle passeggiate vista mare verso luoghi incantevoli tra Portofino e Rapallo (prime due foto). Altrettanto meritevole potrebbe essere l’idea di lasciarsi coinvolgere da quei posti che fanno della biodiversità la loro sfida quotidiana: in questo caso, a Genova, l’acquario cittadino è uno dei più significativi a livello europeo ed offre un panorama di flora e fauna su scala mondiale (seconde due foto che ritraggono una tartaruga marina Caretta Caretta e un delfino) (Crediti: Riccardo Federle).