La nuova vita degli psichedelici
di Maria Luisa Vitale
– Medicina
Crediti: Pixabay
La storia delle sostanze capaci di alterare le percezioni è vecchia quasi quanto l’uomo e ne abbiamo già traccia in reperti datati intorno al 3780–3660 a.C. Dai Misteri Eleusini ai riti sciamanici, gli allucinogeni erano usati per avvicinare l’uomo al divino. Venuta meno la funzione di contatto con la divinità, le sostanze psichedeliche sono diventate oggi il tramite di un nuovo culto, quello del corpo efficiente come una macchina, dell’apertura della mente a servizio del rendimento e del successo lavorativo. La ricerca sui nootropi, la diffusione delle smart drugs, l’errata convinzione di utilizzare solo il 10% del nostro cervello ci ha condotto al microdosing delle sostanze psichedeliche.
I funghi magici contenenti psilocibina, la mescalina del peyote, la DMT (dimetiltriptamina) dell’ayahuasca e, in fine, LSD – quello che Hofmann, il ricercatore svizzero che lo sintetizzo nel 1938, chiamò “il mio bambino difficile” – riportano subito alla mente gli anni ‘60, la Summer of love, la controcultura e i movimenti studenteschi contro la guerra in Vietnam. Il termine psichedelico fu coniato dallo psichiatra inglese Humphry Osmond che, in una lettera allo scrittore Aldous Huxley, lo usò per descrivere le sostanze che liberavano il pensiero mettendo a nudo la psiche. Proprio Huxley con il suo “Le porte della percezione” contribuì a diffondere la conoscenza dell’esperienza con gli allucinogeni descrivendo le visioni mistiche, le allucinazioni visive e uditive, il senso di amore e benessere che aveva provato con la mescalina. Ben presto l’uso degli psichedelici trascese, a causa anche di personaggi controversi come il professore di Harvard Timothy Leary, provocando l’allarme della comunità. La paura che la loro popolarità potesse contribuire a sovvertire l’ordine sociale portò al completo bando con la risoluzione dell’Onu del 1971 che di fatto bloccò anche la possibilità di sperimentazione sugli psichedelici, al loro apparente oblio per quattro decenni e, solo negli ultimi anni, alla ripresa delle ricerche sulle loro potenzialità nel trattamento delle patologie psichiatriche.
Come si può ben immaginare, l’uso degli allucinogeni non si è comunque mai arrestato ma, nell’ultimo decennio, ha dato vita a un impiego votato all’aumento dell’efficienza e non più allo svago. È stato lo psicologo James Fadiman con il libro “The Psychedelic Explorer’s Guide: Safe, Therapeutic, and Sacred Journeys” a istruire sulla pratica del microdosing. Fadiman, che è stato allievo di Leary e che aveva avuto esperienze con gli psichedelici prima del bando, ha così fornito una manuale per l’utilizzo terapeutico sicuro dell’LSD e della psilocibina, dettando i termini sul dosaggio e lo schema di assunzione e raccogliendo poi le testimonianze a supporto dell’efficacia da parte dei microdoser.
Il microdosaggio delle sostanze allucinogene consiste nell’uso di dosi pari a un decimo o un ventesimo di quella che viene definita come dose ricreativa. In realtà non c’è un unanime consenso su quanto sia una microdose, è tuttavia indicativo che non debba causare uno stato di alterazione incompatibile con le proprie attività quotidiane, ma che sia abbastanza da “sentire” di avere preso il farmaco e di trarne i benefici in termini di concentrazioni e apertura della mente. Quindi, secondo gli utilizzatori, la dose assunta non dovrebbe causare le alterazioni della percezione di un trip ma riuscire a selezionare solo gli effetti utili a migliorare le proprie prestazioni lavorative.
La pratica si è prima diffusa nella Silicon Valley, alimentata dal mito di Steve Jobs che descrisse la sua esperienza con LSD come una delle due o tre cose più importanti della sua vita, e dalle affermazioni di Kary Mullis secondo il quale anche grazie allo stato mentale ottenuto con gli allucinogeni aveva ideato la PCR che gli valse il premio Nobel. Gli psichedelici che avrebbero dovuto portare alla comprensione profonda della propria anima e all’amore universale sono così passati al servizio della produttività.
Non c’è dubbio che questo cambio di scenario sia fortemente legato al culto dello individualismo dei nostri tempi. L’inganno dei social network spinge alla ricerca di vite apparentemente perfette ed è accompagnato dal senso di frustrazione di fronte all’incapacità di soddisfare le attese. Sociologi e psicologi riconoscono che c’è una percezione della vita come una corsa ad accaparrarsi i posti migliori, come se non ci fosse abbastanza per tutti e niente fosse realmente abbastanza. Raggiungere uno status invidiabile e il riconoscimento sociale sembrano quindi passare dalla capacità di condizionare i propri stati mentali per trarne un vantaggio sugli altri concorrenti.
Il microdosaggio è quindi diventato un mezzo per aprire la propria mente alla soluzione dei problemi, focalizzare le proprie energie, diminuire il senso di frustrazione. O almeno è quello che gli utilizzatori dicono. Perché in realtà non c’è alcuno studio che possa certificarlo, i riscontri sono solo aneddotici e, fino a che non è iniziato il bando, nessuno studio veramente valido aveva potuto confermare l’aumento delle capacità mentali o della creatività con l’uso degli psichedelici, men che meno a dosi molto basse.
La diffusione nella cultura popolare del microdosing ha portato solo recentemente a studi, anche in cieco, sull’impiego di dosi sub-soglia di psichedelici condotti in Olanda (presso il Leiden Institute for Brain and Cognition, dell’Università di Leiden), Canada (Università di Toronto) e Gran Bretagna (in uno studio congiunto tra l’Università di Maastricht e l’Imperial College di Londra). Questi si basano sostanzialmente sulle esperienze riferite da chi fa già uso di microdosi e peccano in caratteristiche procedurali che limitano la validità dei risultati. Anche il più ampio studio fin ora svolta sulla comunità dei microdoser (A systematic study of microdosing Psychedelics pubblicato da Plos One) si basa sui test somministrati a volontari reclutati sulle varie piattaforme online dove si discute di questa pratica.
I dati che se ne traggono sono perciò assolutamente non risolutivi: la maggior parte dei soggetti evidenzia dei cambiamenti nella capacità cognitive, miglioramenti dell’umore, del benessere e della creatività, ma inaspettatamente, altri rilevano l’aumento degli stai di ansia. Sembrerebbe poi che, a condizionare l’esperienza, anche per il microdosing, siano fondamentali il set, cioè lo sto d’animo del soggetto, e il setting, le condizioni nelle quali avvengono le assunzioni. Sia i riscontri positivi che i negativi sono perciò viziati dall’effetto placebo e la conclusione alla quale giungono i ricercatori è che è necessario un approfondimento sul tema.
Dall’altra parte, Fadiman, sul suo sito, non si limita a raccogliere testimonianze sull’aumento delle capacità mentali ma incita i consumatori di microdosi a raccontare le proprie esperienze anche con il dolore cronico, la cefalea a grappolo o i dolori mestruali. In questo modo spera di aprire una nuova stagione di ricerche sugli psichedelici di cui dice di essere il maggior esperto mondiale. C’è però un grosso difetto nel suo progetto che potrebbe portare, paradossalmente, a richiudere lo spiraglio che si è riaperto sulla materia: tutto ciò che Fadiman incoraggia a fare è illegale. Come già accennato, gli allucinogeni sono stati messi al bando con la Convenzione sulle Sostanze psicotrope firmata a Vienna nel 1971 e che pone tali ristrettezze da rendere difficile anche ai ricercatori portarne avanti gli studi. Alcuni dei consumatori attribuiscono proprio all’illegalità lo stato d’ansia che accompagna il microdosaggio. Ma ciò non ferma chi è intenzionato a farne uso. Le due sostanze maggiormente diffuse nel microdosing sono LSD in forma liquida o assorbita su carta e la psilocibina, attraverso il consumo di funghi allucinogeni. Sul web le comunità di microdosatori si scambiano tutte le informazioni utili per reperire le sostanze o per coltivarle da soli in pratici kit spediti via posta. Ed ecco che la pratica passa dal mondo della tecnologia californiana alle “soccer mom” con ansia da prestazione alle mamme lavoratrici del Regno Unito, come ha messo in luce una inchiesta del Guardian lo scorso anno. Il tutto senza considerare la possibilità che un uso cronico e non controllato degli psicotropi possa essere dannoso.
Gli psichedelici sono stati infatti sempre ritenuti sicuri e, grazie al loro meccanismo d’azione sui recettori serotoninergici, incapaci di causare dipendenza. Sebbene si riconosca che l’azione è fortemente legata all’attivazione dei recettori 5-HT2A della serotonina di aree corticali e sub-corticali, la loro attività può rivelarsi molto più complessa di quello che si pensa, proprio perché non hanno selettività assoluta e le famiglie di recettori della serotonina su cui possono agire sono presenti non solo nel sistema nervoso centrale ma anche a livello di altri organi. La serotonina è infatti implicata, a livello cerebrale, in diversi meccanismi dalla veglia allo stato dell’umore, dalla assunzione di cibo all’insorgenza degli stati psicotici. Non meno varie sono le attività periferiche come la contrazione della muscolatura vascolare o uterina e la modulazione del sistema immunitario. In particolare, c’è il timore che un uso cronico, anche di dosaggi molti bassi, possa causare disfunzioni vascolari e cardiache, come quelle che solo nel post-marketing sono emerse con l’anoressizzante fenfluramina e che ne hanno imposto il ritiro. Anche preoccupante è la possibilità che l’uso continuo possa influire sull’insorgenza di stati depressivi o psicotici. I primi studi condotti sui topi trattati con microdosi di LSD per lunghi periodi mostrano un cambiamento persistente dell’atteggiamento con sviluppo di comportamenti aggressivi, iperreattività e anedonia. LSD e i suoi congeneri sono capaci infatti di causare rapidamente adattamenti dell’espressione dei recettori ai quali si legano inoltre, causano tolleranza (ecco perché lo schema ideato da Fadiman richiede una dose ogni 3 giorni e la sospensione nel fine settimana) e ciò comporta la possibilità di un aumento del dosaggio da parte degli assuntori. Non va poi trascurato il fatto che molti degli utilizzatori assumo al contempo altre sostanze, come i farmaci per il deficit d’attenzione, portando a interazioni non prevedibili, o che le sostanze che si procurano illegalmente possono non essere pure. Alla base dell’uso c’è poi una disarmante superficialità. I consumatori lo descrivono come parte di una semplice routine mattutina fatta di integratori, vitamine e caffè. I dosaggi sono spesso non precisi e adeguati secondo il loro sentire. Una delle intervistate del Gurdian riteneva anche di essere più felice da quando si era liberata dei suoi antidepressivi con una lista infinita di effetti collaterali, senza rendersi conto che quella lista infinita è solo la dimostrazione che qualcuno s’è preoccupato della sicurezza che la sua microdose non le può garantire!
Molti degli anonimi microdoser raccontano di essere riusciti a ottenere vite più disciplinate, di riuscire ad allenarsi senza noia ogni giorno, di concentrarsi sul lavoro anche fuori dall’orario d’ufficio senza lasciare vagare la mente, di avere la tendenza a una maggiore comprensione e all’evitare conflitti con colleghi e partner, addirittura di provare un rifiuto fisico per il cibo spazzatura. Il quadro che ne esce è quello di una felicità ebete e stereotipata: le sostanze che dovevano liberare dalle convenzioni sociali sono diventate una via per il conformismo.
La migliore delle notizie è però la ripresa della sperimentazione sugli psichedelici e gli studi in atto, soprattutto sulla psilocibina, mostrano una grande potenzialità; si sono dimostrati utili nell’elaborazione emotiva per i malati terminali e in una più serena accettazione della morte e hanno dimostrato utilità nella disassuefazione da alcool e fumo. Il loro uso potrebbe offrire un’alternativa farmacologica per le depressioni resistenti ai trattamenti, per il disturbo ossessivo compulsivo, per il deficit d’attenzione, ma anche forse per tutte una serie di condizioni non psichiatriche. Sembra che finalmente sia arrivato il momento per il bambino difficile di diventare un adulto realizzato.