La strana storia della quinta dimensione – I Parte

di Marco Dian
– Fisica  

La storia di come un’idea apparentemente impossibile e assolutamente strana ha rivoluzionato la fisica per più di un secolo. Una teoria che ha attratto le menti più brillanti del nostro tempo ma che ancora non sembra avere né una conferma né una smentita sperimentale. È la storia della quinta dimensione.

Whormhole Quinta Dimensione

Crediti: Genty da Pixabay

La storia che sto per raccontarvi inizia più di cent’anni fa e, ancora oggi, continua a essere scritta giorno dopo giorno. È una storia di cui sappiamo come comincia ma che, per ora, non sembra voler finire. È la strana storia della quinta dimensione, di misteriose particelle e di come tutto ciò potrebbe aiutare a dissipare uno dei grandi misteri dell’universo: quello della materia oscura

Data la vastità e la complessità degli argomenti trattati, dividerò la lettura in più articoli. All’inizio di ogni articolo faremo il punto della situazione in modo da rendere più semplice la lettura. 

Mettetevi comodi dunque perché stiamo partendo per un viaggio verso i confini della conoscenza!

Un ventennio straordinario

Nel 1919 era da poco terminata la I Guerra Mondiale e in Europa la fisica era nel pieno della sua straordinaria evoluzione: da qualche anno, infatti, il mondo aveva fatto la conoscenza delle rivoluzionarie teorie della relatività (ristretta e generale) di Albert Einstein le quali sconvolsero il modo di pensare allo spazio, al tempo e alla gravità. 

Inoltre, le prime due decadi del Novecento furono caratterizzate dalla nascita e dallo sviluppo di una nuova scienza adatta allo studio dei fenomeni microscopici. Dalla struttura degli atomi al comportamento della luce, il mondo atomico veniva descritto dalla teoria dei quanti. Lo stesso Einstein può essere considerato uno dei padri fondatori di questa nuova fisica assieme Max Planck e Niels Bohr.

Difficilmente troverete un’altra fotografia con la stessa quantità di intelligenza di questa. Infatti, al quinto congresso Solvay, in Belgio, del 1927 dedicato alla meccanica quantistica, vi parteciparono i fisici più brillanti dell’epoca – e probabilmente di tutti i tempi. In prima fila, al centro, l’inconfondibile Einstein; sempre in prima fila, seduto a sinistra di Marie Curie – l’unica donna del gruppo – c’è Max Planck. Niels Bohr, invece, sta seduto in seconda fila, l’ultimo a destra. In questa foto compaiono anche Erwin Schrödinger, Werner Heisemberg, Wolfgang Pauli, Max Born, Paul Dirac, Arthur Compton e Louis de Broglie solo per dirne alcuni. Crediti: Benjamin Couprie/Wikimedia.

Nel quadro delle conoscenze dell’epoca non bisogna trascurare l’elettromagnetismo, al quale il contributo maggiore fu dato da James Clerk Maxwell. Nel 1864 il fisico scozzese pubblicò le sue famose equazioni: in quattro semplici formule unificò la teoria dell’elettricità e quella del magnetismo. Fu il primo passo verso l’unificazione delle leggi fisiche.

Nella prima decade del Novecento, dunque, il mondo sembrava essere descritto da due grandi teorie: la teoria dei quanti per i fenomeni su scale atomiche e subatomiche, e la relatività generale per quelli su scala cosmologica, senza contare la buona e vecchia fisica classica, che continuava a valere su scale, diciamo, ‘normali’. È interessante notare che oggi, dopo più di cento anni e significativi progressi in ogni campo, le cose sembrano andare ancora così: quanti e gravitazione non vanno d’accordo e non c’è una teoria in grado di unificarli. Tuttavia nel 1919 uno sconosciuto matematico polacco di nome Theodor Kaluza ebbe un’idea che rivoluzionò il modo di pensare allo spazio ma, soprattutto, era un nuovo passo in avanti verso l’unificazione delle leggi fisiche.

Una scoperta inattesa

Studiando attentamente la relatività generale, che Einstein aveva formulato nel quadro familiare di tre dimensioni spaziali e una temporale, Kaluza si rese conto che le equazioni matematiche si potevano estendere a un universo dotato di un numero maggiore di dimensioni spaziali. Il matematico, quindi, si mise al lavoro ed estese le equazioni della relatività generale a cinque dimensioni, quattro spaziali e una temporale.

Theodor Kaluza

Theodor Kaluza, nato nel 1885 a Opole in Polonia, fu un brillante matematico che, grazie alle sue idee innovative gettò le basi per le teorie con spaziotempo a più dimensioni. Tuttavia, nonostante godesse di grande stima da parte di Albert Einstein, Kaluza non salì mai sotto le luci della ribalta e rimase per 20 anni un Privatdozent (un semplice docente) all’Università di Könisberg. Nemmeno le raccomandazioni di Einstein servirono a fargli guadagnare la considerazione che meritava. Diventò un professore vero e proprio all’Università di Kiel soltanto nel 1935. Kaluza era anche un appassionato linguista – studiò oltre 15 lingue – e dotato di grande humor. Si dice che per imparare a nuotare lesse semplicemente un libro sul nuoto e si tuffò in acqua riuscendo a nuotare al primo tentativo. Crediti: MacTutor Archive.

 

L’aggiunta della dimensione extra aumentò, come era lecito aspettarsi, il numero di equazioni della teoria: le relazioni che descrivevano le tre classiche dimensioni spaziali erano del tutto identiche a quelle di Einstein che descrivevano la gravitazione. Ma quelle nuove, legate alla dimensione aggiuntiva, erano assai più interessanti. Infatti, analizzando queste nuove equazioni, Kaluza si accorse che esse non erano altro che le formule elaborate da Maxwell per descrivere i campi elettromagnetici. Questa poi! Era bastato aggiungere una dimensione spaziale extra per unificare elettromagnetismo e gravitazione! Sicuramente questa fu la faccia di Kaluza appena scrisse le equazioni: 😳

L’idea della dimensione aggiuntiva piacque molto ad Einstein che, in un primo momento, scrisse a Kaluza: “[…] A prima vista la Sua idea mi piace immensamente.” Roba da restarci. L’idillio, però, durò poco: infatti, verso la fine di aprile del 1919, Einstein scrisse nuovamente al matematico polacco una lettera in cui faceva un passo indietro: “[…] devo ammettere che i Suoi argomenti non mi sembrano per ora abbastanza convincenti”.

Due anni dopo, però, il grande fisico tedesco ci ripensò e il 14 ottobre 1921 scrisse (di nuovo!) a Kaluza dicendo che si sarebbe impegnato a proporre l’articolo del matematico all’Accademia Prussiana delle Scienze. Nel dicembre 1921 venne pubblicato l’articolo di Theodor Kaluza, Zum Unitätsproblem in der Physik, “Sul problema dell’unità in fisica”. 

Nonostante la teoria del polacco fosse senz’altro interessante, essa presentava alcuni problemi e per questo all’epoca non le fu dato credito. Innanzitutto, includere l’elettrone nella teoria della relatività generale poneva un grosso ostacolo dovuto al fatto che la sua massa e la sua carica, previste dalla teoria, erano in netto contrasto con quelle misurate dagli esperimenti. Inoltre, Kaluza non aveva idea di come fosse fatta questa dimensione aggiuntiva e non sapeva dare una spiegazione circa il suo significato fisico.

Il mondo arrotolato

Il compito di fare un po’ di chiarezza spettò al fisico svedese Oskar Klein che riprese in mano i calcoli di Kaluza e nel 1926 pubblicò l’articolo Quantentheorie und fünfdimensionale Relativitätstheorie, “Teoria quantistica e relativistica a cinque dimensioni”. La proposta di Klein è che nell’universo ci possono essere dimensioni estese e dimensioni arrotolate

Il classico esempio è quello di un tubicino di gomma, come quelli utilizzati per stendere i panni. Visto da lontano il tubicino sembra avere soltanto una dimensione, ovvero quella che si estende da un lato all’altro dello stendino. Se sul tubo ci fosse una formica, sicuramente penseremmo che si possa muovere soltanto in direzione destra/sinistra. Questa è la dimensione estesa. Tuttavia, man mano che ci avviciniamo, notiamo che, seppure piccola, il tubicino mostra un’estensione anche in direzione su/giù. Se ci avviciniamo abbastanza notiamo anche la forma cilindrica, la quale denota l’esistenza di una dimensione aggiuntiva di cui, a prima vista, non ci eravamo accorti. Eccola qui, dunque, la dimensione arrotolata.

Oskar Klein

Oskar Klein, nato nel 1894 a Morby in Svezia, non fu impegnato soltanto nello studio delle dimensioni extra. Anzi, era un visionario, attratto dai confini ultimi della fisica moderna. Nel 1926 assieme a Walter Gordon estese l’equazione d’onda di Schrödinger al caso di particelle relativistiche formulando la famosa equazione di Klein-Gordon (valida soltanto per particelle con spin zero come il bosone di Higgs). Nel 1929 collaborò con Yoshio Nishina sviluppando la formula di Klein-Nishina che descrive gli urti tra elettroni e fotoni. Nel 1963 sviluppò assieme ad Hannes Alfvén una cosmologia alternativa al big bang. Crediti foto: MacTutor.

Secondo Klein le dimensioni dello spazio si comportano allo stesso modo. La sua ipotesi fu che le tre dimensioni spaziali fossero dimensioni estese, mentre per poter vedere quelle aggiuntive fosse necessario osservare il mondo su scala molto più piccola in quanto esse sono arrotolate. Nell’idea di Klein, la quinta dimensione dovrebbe essere grande quanto la lunghezza di Planck – un miliardesimo di miliardesimo di miliardesimo di miliardesimo di metro (in soldoni 10–35 metri).

In questa immagine lo spazio è rappresentato dalla superficie piana bidimensionale della griglia. I cerchi sono definiti sulla terza dimensione. Per comodità sono stati disegnati solo sulle intersezioni della griglia ma in realtà secondo Klein esistono in ciascun punto dello spazio. Il raggio di questi cerchi corrisponde alla lunghezza di Planck. Crediti: B. Green, L’universo Elegante, Einaudi.

Se vogliamo immaginare la struttura di questa dimensione extra, possiamo fare così: consideriamo una superficie piana bidimensionale e immedesimiamoci in una formica, anch’essa bidimensionale. Ciò significa che non abbiamo uno “spessore” ma siamo in grado di muoverci su tale superficie. Le uniche direzioni che potremmo percorrere sarebbero avanti/indietro e destra/sinistra. Supponiamo adesso di avere un microscopio potentissimo che riesce a ingrandire la superficie fino alla lunghezza di Planck. Se disponessimo di un tale strumento, secondo Klein dovremmo poter vedere dei piccoli cerchi in ogni punto dello spazio. Questi cerchi si estenderebbero in direzione su/giù, rappresentando quindi una nuova dimensione per noi formiche bidimensionali.

In conclusione, la teoria di Klein prevede che, se le dimensioni extra esistono, esse sono arrotolate su loro stesse – i fisici le chiamano compattificate – su una scala dell’ordine della lunghezza di Planck. Grazie all’idea di Kaluza e ai contributi di Klein, ora la quinta dimensione ha una spiegazione fisica e anche un effetto nelle equazioni: essa è estremamente piccola, arrotolata a forma di cerchio in ogni punto dello spazio e permette l’unificazione di gravitazione ed elettromagnetismo. Era nata la teoria di Kaluza-Klein.

Wow, sembrava fatta! 

Tuttavia, anche dopo il contributo di Klein, permaneva l’incapacità di comprendere e risolvere il problema della discrepanza tra il rapporto previsto massa/carica dell’elettrone e quello misurato sperimentalmente. Ed era un vero peccato, viste le interessanti possibilità offerte dalla dimensione aggiuntiva. Persino il grande fisico Wolfgang Pauli, ideatore del famoso principio di esclusione che porta il suo nome, si interessò alla teoria e nel 1953 fece un timido tentativo di portare avanti le idee di Kaluza e Klein. Tuttavia Pauli non pubblicò mai le sue ricerche, nonostante tenne due conferenze sul tema, poiché non era per nulla convinto dei risultati. 

Secondo Pauli la teoria, sebbene matematicamente corretta, si scontrava con l’impossibilità di tradurla in fenomeni fisici realmente osservabili. Infatti le equazioni prevedevano l’esistenza di mesoni – particelle instabili formate da un quark e un antiquark – con massa a riposo pari a zero. Ciò era inconcepibile per Pauli tanto che scrisse “[…] dunque questo conduce ad alcune particelle d’ombra piuttosto non-fisiche”.

L’incapacità di trovare una giustificazione fisica alle strambe equazioni  che coinvolgevano le dimensioni aggiuntive era una grande difficoltà. Questo ostacolo all’epoca apparentemente insormontabile allontanò lentamente la comunità scientifica dalla teoria di Kaluza-Klein: i fisici persero interesse per le dimensioni extra e gradualmente tutto finì nel dimenticatoio. D’altra parte, come abbiamo visto, gli anni venti furono un periodo d’oro per la fisica e gli scienziati preferirono dedicarsi anima e corpo alla stesura delle leggi della meccanica quantistica e allo sviluppo di quella che è, allo stato attuale, la migliore spiegazione di tutti i fenomeni quantistici esistenti: il Modello Standard delle Particelle Elementari.

Purtroppo le dimensioni nascoste non facevano parte del pacchetto e per più di settant’anni nessuno si interessò più alla teoria di Kaluza-Klein. Ma, come spesso accade, se un’idea è buona prima o poi qualcuno se ne accorge.

LETTURE PER APPROFONDIRE

  • Pietro Greco, Quanti. La straordinaria storia della meccanica quantistica, Carocci Editore
  • John D. Barrow, I numeri dell’universo, Mondadori
  • Albert Einstein, Autobiografia scientifica, Bollati Boringhieri

NELLA PROSSIMA PUNTATA PARLEREMO DI:

  • il Modello Standard delle Particelle Elementari, una delle più grandi conquiste scientifiche del novecento.
  • I grandi limiti del Modello Standard: come un neutrino aprì l’ennesima falla nella teoria più complessa mai elaborata dall’essere umano.
  • Perché la forza di gravità è così debole rispetto alle altre forze fondamentali?