Sotto pressione
di Riccardo Federle
– Editoriale
Crediti: Riccardo Federle
Nella foto sono nella “Sala dei Giganti” a Palazzo Te di Mantova. Si tratta della stanza più imponente della residenza signorile che, affrescata da Giulio Romano, descrive la lotta tra i Giganti e Giove: i primi, cercando di ascendere alle stelle, subiscono l’ira del Re dell’Olimpo e finiscono per soccombere, rovinosamente, sotto la pressione di massi e colonne che si spezzano.
È abbastanza comune, se ci pensiamo, l’idea di cadere sotto la pressione di tutto il peso che ci sentiamo addosso e in questa sala lo si capisce molto bene. Così la descrive infatti il famoso architetto Giorgio Vasari: «Non si pensi alcuno di vedere mai opera di pennello più orribile e spaventosa, né più naturale di questa. E chi entra in quella stanza, non può non temere che ogni cosa non gli rovini addosso.»
Ebbene sì, anche io sono sotto pressione: lo studio ed il lavoro mi lasciano poco scampo ed è sempre più difficile ritagliare momenti di pace (o di scrittura che, nel mio caso, parrebbero coincidere). E voi l’avrete sicuramente capito perché questo mese il consueto appuntamento con il nostro editoriale è slittato di qualche giorno. O forse non l’avrete notato affatto: in effetti, la frenesia delle giornate di ciascuno difficilmente permette di mantenere viva l’attenzione sui dettagli… e così finisce per passare inosservato anche un piccolo appuntamento (per quanto gradito). Fatto salvo, ovviamente, che non si tratti di una gratificazione altamente significativa come quella che potrebbe derivare da uno stipendio: ma, in questo caso, è tutta un’altra storia che mi permetterei di evitare con garbata sincerità.
Facciamo dunque un passo indietro e torniamo a noi: il caldo nella nostra penisola non si sta risparmiando e i telegiornali già recitano le solite raccomandazioni invitando a mantenersi idratati e a non uscire nelle ore più calde. Le cose da fare però non mancano e anzi, forse le giornate più lunghe lasciano spesso spazio ad agende decisamente fitte e molto meno tempo al riposo.
È insomma un periodo in cui il concetto di “pressione” vince su praticamente ogni altro. Ma, a dire il vero, lo fa in un modo abbastanza inconsueto: il termine, infatti, è sempre lo stesso … ma compare negli ambiti più diversi con significati vari. La cosa è alquanto particolare ma, per fortuna, a collegare il tutto rimane sempre la scienza… Vediamo se riuscite a seguirmi.
I primi che, in questi giorni, si stanno definendo “sotto pressione” sono coloro cui è riservata una sfida decisamente significativa: mezzo milione di ragazzi e ragazze è in procinto di concludere, infatti, l’esame di maturità. Potremmo forse descriverlo come uno dei momenti più belli e più odiati di tutta la vita: un tripudio di forti emozioni fa da corollario ad un passaggio emblematico che ha suscitato incubi e paure in intere generazioni … ma anche grandi soddisfazioni. È chiaro, però, che in questo contesto l’utilizzo dell’espressione “essere sotto pressione” è principalmente finalizzata a far emergere un setting figurato di stress e preoccupazioni che riempie il cervello creando sensazioni di ansia e stanchezza. E ai maturandi si aggiungono tutte quelle altre persone che, come me, non sono ancora arrivate al momento di pausa estiva e rimangono a vivere le vicissitudini senza tregua che, solitamente, sono riservate alle restanti parti dell’anno.
Pur rimanendo tra i lembi della scienza (vale la pena ricordare che la mente e le logiche della trasmissione delle informazioni, tra cui ansia e paura, fanno parte a pieno titolo del mondo scientifico) siamo però ben lontani da quella definizione di pressione tanto cara alla fisica. Ma non serve molta fantasia nemmeno per arrivare lì: il caldo ci offre infatti l’occasione per parlare anche di questo.
Nella foto sopra alcuni studenti rilassati dopo un esame e una ragazza che si misura la pressione arteriosa attraverso uno sfigmomanometro, lo strumento preposto
Tra gli effetti della calura fa da capostipite, infatti, quello della sudorazione profusa e una conseguenza indiretta di questo fenomeno è l’ipotensione: parliamo in sostanza dell’abbassamento significativo della pressione arteriosa, la potenza cioè con cui il cuore pompa il sangue nei vasi sanguigni.
Il muscolo cardiaco ha in effetti questa funzione: quella di spingere il sangue nelle arterie così da garantire la perfusione di ossigeno a tutti i tessuti. Nel fare ciò, l’energia che impiega per indirizzare il fluido verso i vasi sanguigni fa si che questi subiscano una certa forza contro le loro pareti: la misurazione di questa è ciò che noi comunemente definiamo “pressione arteriosa” e che si specifica in due valori: uno massimo, corrispondente al momento in cui il ventricolo sinistro si contrae per espellere il sangue … e uno minimo dovuto invece alla massima dilatazione del cuore che si prepara alla prossima spinta.
A regolare il circolo sanguigno ci sono le stesse leggi della fisica che comandano i fluidi nei vasi. Una arteria è quindi assimilabile al tubo dell’acqua con il quale annaffiamo tutte le sere l’orto o il giardino: nel momento in cui diminuisce la quantità di liquido che passa a parità di calibro del vaso (sudando e perdendo liquidi nel caso delle arterie o chiudendo un po’ il rubinetto se parliamo dell’acqua per il giardino) inevitabilmente si riduce anche la pressione con la quale il fluido viene sospinto.
Ma non finisce con uno “svenimento ipotensivo” la caccia alla parola che abbiamo iniziato ormai qualche riga fa… Vi propongo, infatti, con la stessa modalità diretta e sintetica, anche una terza possibilità: sempre la pressione, infatti, è stata al centro dell’ultimo caso mediatico che ha diviso l’opinione pubblica di tutto il mondo. Un sottomarino è infatti balzato tragicamente agli onori di cronaca negli ultimi tempi: si tratta del Titan, progettato e gestito dalla società americana OceanGate. Il sommergibile, dopo aver intrapreso un viaggio fuori dal comune per cercare di raggiungere il relitto del noto transatlantico Titanic (affondato tra il 14 e il 15 aprile 1912 a 486 miglia dall’isola di Terranova), è imploso con tutto l’equipaggio che era a bordo a quasi quattromila metri di profondità. In questo caso, il mezzo sperimentale, semplicemente non ha retto la forte pressione presente a quelle profondità. E se il mondo non ha risparmiato giudizi né agli ingegneri costruttori né ai membri dell’equipaggio io non sono qui per le opinioni ma per i fatti: questa è la scienza! E i fatti dicono che l’ambiente che hanno incontrato durante questa esperienza è tutt’altro che facilmente comprensibile: noi siamo abituati, infatti, a vivere fuori dall’acqua e la pressione atmosferica non ci dà troppo fastidio: le variazioni di altezza tra livello del mare, collina o alta montagna determinano dei cambiamenti anche sui valori della pressione atmosferica ma non troppo significativi né così ben percepibili. Tuttavia a quattromila metri di profondità la situazione è ben diversa e ciò che sperimentiamo, a parte una temperatura molto fredda dell’acqua, è una pressione di circa 400 atmosfere: una forza, quindi, altamente difficile da gestire e controbilanciare, capace di accartocciare un mezzo così pesante come un sacchetto pieno d’aria.
Solo l’immaginazione di Jules Verne poteva immaginare viaggi tanto arditi senza conseguenze fatali. Ma sognare non è una colpa, anzi: noi lo facciamo tutti i giorni. E infatti anche la Lampada delle Scienze è sotto pressione, ma stavolta come una pentola, pronta a sfornare nuovi progetti che un po’ per volta ci avviamo a elaborare. Intanto spero di continuare a tenervi compagnia con i nostri appuntamenti di scienza. Il mio scopo rimane sempre e solo uno: partire da una fotografia del mondo che viviamo e raccontare le storie che la scienza ci nasconde dietro. Non voglio fare grandi trattati né dilungarmi su approfondimenti poco produttivi… Mi interessa solo trasmettere la passione e lo stupore di uno sguardo diverso, capace di ravvivare la monotonia: questo per ricordare che noi alle stelle ci possiamo arrivare senza problemi, senza fare la fine rovinosa dei Giganti.