Prigionieri dell’ignoranza

di Riccardo Federle
– Editoriale

Nella foto mi affaccio da una cella del Castello d’If di Marsiglia (FR). La fortezza, nota per aver ospitato una parte dell’ambientazione del romanzo “Il conte di Montecristo”, sorge su un isolotto del golfo marsigliese. Il protagonista del racconto ne rimane imprigionato senza colpa per quattordici anni prima di riuscire a fuggire (crediti: Riccardo Federle)

La libertà è un concetto molto strano. Concreto, perchè tangibile, ma anche irrimediabilmente astratto, in quanto personalizzabile: chiunque di noi, infatti, ne darebbe una definizione sempre diversa … e quindi, in fin dei conti, probabilmente unica. A qualcuno, ad esempio, per essere libero basterebbe non trovarsi dietro le sbarre di una cella; per qualcun altro sarebbe sufficiente non avere l’obbligo di timbrare un cartellino; altri ancora si accontenterebbero di non dover rendere conto a nessuno sul proprio orario di rientro a casa. Dalle cose più grandi a quelle più piccole, insomma, ciascuno inevitabilmente modulerebbe il concetto di libertà su quello ancora più complesso del proprio “spazio vitale”. Libertà diventa quindi, più o meno per tutti, la possibilità di agire senza impedimenti all’interno dei percorsi e degli ambienti ritenuti importanti per la propria esistenza.

Pochi giorni fa, comunque, mi è capitato di sperimentare da vicino uno dei concetti più significativi di libertà: ho avuto l’occasione, infatti, di visitare il Castello d’If. Si tratta di una fortezza costruita nel ‘500 su di un’isola dell’arcipelago delle Frioul nel golfo di Marsiglia. La struttura è particolarmente nota per essere stata una prigione dalla fama temibile ed è diventata celebre grazie al romanzo di Alexander Dumas padre, “Il Conte di Montecristo”. Sperimentare corridoi e celle prive di luce e salubrità è stata un’esperienza toccante: e ben più terribile deve essere stato il viverci all’interno.

Da sinistra una foto del Castello d’if di Marsiglia (FR) visto dall’imbarcazione che lo raggiunge e due immagini dei colori della Costa Azzurra dalla Promenade des Anglais, famosa passeggiata lungomare di Nizza (FR) (crediti: Riccardo Federle)

Il protagonista del romanzo, il vice-comandante di marina mercantile Edmond Dantes, rimane per ben quattordici anni di prigionia all’interno del castello prima di riuscire a fuggire. L’unica cosa che riesce a salvarlo dalla pazzia, dopo quattro anni di completo isolamento, è l’incontro con l’abate Faria, un prigioniero decisamente eccentrico che, cercando di fuggire dalla roccaforte scava un tunnel nella direzione sbagliata e finisce nella cella del marinaio.

L’abate diventa per lui un vero maestro di vita e il tempo trascorso assieme favorisce l’evoluzione e la crescita dell’uomo che diventerà. L’offerta del chierico è infatti enorme: “Se tu mi aiuti a scavare io ti dono la cosa più preziosa” “La libertà?” risponde avvilito Edmond Dantes; “Ma no, guarda dove siamo. Quella te la possono togliere in qualsiasi momento” replica Faria e poi continua: “Io ti donerò qualcosa che nessuno potrà levarti mai: la conoscenza”.

Ed eccoci dunque al nocciolo della questione: viviamo da sempre convinti che la libertà sia una cosa da conquistare o da pretendere come diritto dalla società in cui viviamo e passiamo i nostri giorni a lamentarci (talvolta anche a ragione, sia chiaro) per tutte quelle situazioni in cui non ci viene dato modo di essere quello che potremmo essere. Ed è così: il mondo talvolta non si dimostra riconoscente nei nostri confronti e questo ci fa sicuramente male, ma il cercare la colpa altrove finisce anche per farci dimenticare quanto noi per primi, in verità, mettiamo le sbarre al nostro agire.  Come soleva dire Albert Einstein “una mente che si apre ad una nuova idea non ritorna mai ad una dimensione precedente”. Ecco allora la dimensione su cui puntare davvero: perché sono proprio scienza e cultura a rappresentare i capisaldi di una libertà senza confini, fatta della possibilità di fare scelte consapevoli perchè dettate da una piena comprensione delle vicende che ci accadono.

La prigione dell’ignoranza è dunque la più atroce per l’uomo e allo stesso tempo anche la più inconsapevole: ma scegliere la conoscenza non è una strada in discesa. Lo studio e la crescita personale sono conseguenze di impegno e fatica e quasi mai garanzia di spensieratezza. Certo è, comunque, che permettono all’essere umano di non degenerare nella volgarità degli istinti animali o di non lasciarsi sopraffare dalle emozioni negative.

Settembre, quindi, può essere per tutti un nuovo inizio: dopo le vacanze estive (dei più fortunati) riprendono i ritmi frenetici della quotidianità … e ricominciano anche i cicli di formazione. Sarebbe bello, quindi, che si potesse adottare un’ottica diversa in tutto questo e che anche la scuola si trasformasse in una esperienza di libertà.

Anche noi della Lampada ricominciamo il nuovo “anno accademico” con delle attività che cominciano a prendere forma. Nei prossimi mesi vi faremo conoscere, infatti, alcuni dei progetti che dedicheremo a scuole e università.

Intanto, come ogni mese, spero di avervi fatto un po’ di compagnia con le mie parole pur consapevole che, parafrasando Socrate, “io non posso insegnare niente a nessuno, io posso solo farli pensare”.