La via dell’acqua

di Riccardo Federle
– Editoriale

Nella foto sono in compagnia di un dromedario (“Camelus dromedarius” secondo Linneo, chiamato anche “cammello arabo”) nel deserto giordano di Wadi Rum. Il dromedario era un animale molto utilizzato dai Beduini per la sua velocità e la grande resistenza ai climi torridi. Può, infatti, passare intere settimane senza bere grazie ad un insieme di meccanismi: il riciclo dell’urea nel circolo sanguigno e la produzione di idrogeno a partire dal grasso immagazzinato che, con l’ossigeno dell’aria diventa poi acqua (riesce a produrre 1 litro di acqua a partire da un kg di grasso) (crediti: Riccardo Federle)

Poche cose come l’acqua sanno sempre trovare la loro strada. E questo nel bene e nel male. Si racconta, ad esempio, che fosse usanza dei Beduini non far bere cammelli e dromedari per alcuni giorni prima della partenza delle carovane. In questo modo il loro olfatto diventava ancora più sensibile e gli animali erano in grado di fiutare le sorgenti d’acqua a grandi distanze guidando così le comitive verso le Oasi. È incredibile pensare come l’acqua, perciò, riesca a trovare il proprio posto anche nei luoghi più inospitali come i deserti: ma se in certi periodi dell’anno scorre anche lì con la limpidezza dei ruscelli montani … in altri momenti sparisce lasciando in regalo profonde gole levigate e scavate, quasi dipinte con colori pastello. Sono gli “uidian” (al singolare “uadi”), letti di torrenti, in verità veri e propri canyon, in cui scorre un corso d’acqua a carattere non perenne.

Ciò che rimane è decisamente uno spettacolo disarmante e le popolazioni se ne sono accorte epoca dopo epoca. Così frutti dell’acqua non restano solo i germogli e i fiori ma anche le rocce scolpite e le sinuose insenature dei macigni: proprio in uno di questi fluidi ammassi di storia, ad esempio, è nata una delle esperienze d’arte e di edilizia umana unica nel suo genere … la bellissima ed affascinante Petra!

   

Nella foto è evidente il lavoro millenario dell’acqua nella valle giordana di Wadi Musa (foto n. 1, 2 e 3) che custodisce il sito archeologico di Petra, il cui luogo più famoso è la facciata del Tesoro del Faraone (foto n. 4) nota per aver ospitato le riprese di “Indiana Jones e l’ultima Crociata” (crediti: Riccardo Federle)

L’estrema delicatezza della sorgente si traduce però anche nella tracotanza del fiume. E così la stessa acqua che genera vita, la medesima che è all’origine di ogni essere vivente, può diventare impeto di distruzione e di morte. In questi giorni, ad esempio, l’Emilia Romagna si erge a sfortunato e dissestato teatro della forza devastatrice dell’oro blu.

Il web è ormai colmo di immagini che ritraggono abitazioni e campi semisommersi o gruppi di persone intenti a lottare contro fango e detriti, simbolo di quella fratellanza che, tutto sommato, è sempre stata una fervente caratteristica del Bel Paese nei momenti di calamità. Ma se la risposta umana si è resa necessaria, se il valore della solidarietà ha comunque e fortunatamente preso il sopravvento, viene da chiedersi quale sia stata la causa di tutto questo evento catastrofico: dopo un anno di siccità estrema abbiamo dovuto fare i conti con un’alluvione senza precedenti, due facce della stessa medaglia del cambiamento climatico.

Quando si verificano fenomeni meteorologici di portata e intensità eccezionali, come la pioggia che si è abbattuta sull’Emilia Romagna poche settimane fa, al rischio idraulico che riguarda le piene dei fiumi, si aggiunge il rischio idrogeologico di allagamenti urbani, piene dei torrenti e frane. Le conseguenze possono arrivare fino alla rottura degli argini, all’esondazione dei corsi d’acqua e al crollo di ampie porzioni di versanti collinari e montuosi, con tutti i danni a cose e persone che ne derivano. Per questo la pianificazione si dovrebbe basare su un calcolo di probabilità del verificarsi di un’alluvione e i danni potenziali che essa potrebbe arrecare.

Ma l’ultimo rapporto ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) del 17 maggio 2023 parla chiaro: l’Emilia Romagna risulta tra le regioni in cui la percentuale di territorio potenzialmente allagabile è superiore rispetto ai valori calcolati alla scala nazionale. In particolare, l’11,6% del territorio regionale, in cui risiede poco meno del 10% della popolazione, ricade in aree potenzialmente allagabili secondo uno scenario di pericolosità elevata mentre in caso di scenario di pericolosità media le aree potenzialmente allagabili raggiungono il 45,6% dell’intero territorio regionale e la popolazione esposta supera ampiamente il 60%.

Nell’immagine è rappresentata la mappa delle precipitazioni cumulate sulle 24 ore antecedenti al 17/05/2023 sulla regione Emilia-Romagna. L’immagine è stata realizzata e pubblicata da Arpa Emilia-Romagna e dal report ISPRA 17 maggio 2023 (Crediti: Arpa Emilia-Romagna – ISPRA)

Come mai quindi tanta sorpresa, nonostante le previsioni fossero così chiare?

Sempre l’ISPRA risponde ammettendo come l’evento che nell’ultimo mese si è abbattuto sulla regione padana ha evidenziato un carattere eccezionale a causa della combinazione di fattori legati a struttura e traiettoria del ciclone che ha transitato sulla nostra penisola: il maltempo, infatti, si è mostrato con particolari caratteristiche di persistenza e intensità, unito alla convergenza di vaste masse di aria umida con i venti di scirocco. Ne è risultato una sorta di imbuto che ha generato una mole di precipitazioni ben più consistente di quanto ci si sarebbe mai potuti aspettare.

Nella giornata del 17 maggio sono perciò esondati ben 21 fiumi (anche in più punti) mentre 22 corsi d’acqua hanno superato la soglia rossa di allerta. Una situazione parecchio critica che dovrebbe farci riflettere su quanto sia una necessità assoluta rispettare la struttura geomorfologica dell’ambiente che ci circonda. Molte volte, infatti, l’ingordigia di costruire e la superbia del poter modificare la realtà spinge l’uomo oltre il proprio confine: ma se la natura viene limitata poi trova sempre il modo di rifarsi strada.

Questa caratteristica di essere madre e matrigna è un aspetto della natura che affascina e spaventa. Non smettono di stupirci, perciò, le infinite risposte che il mondo continua ad offrire dopo i continui attacchi di “erosione umana”. E l’elemento più vicino alla vita è tra tutti un esempio calzante di questa verità: l’acqua è una sostanza capace infatti di trasformazioni incredibili, in grado di cambiare lo stato della materia (solido, liquido, gassoso) e di assumere la forma di qualsiasi recipiente, può insinuarsi nella fenditura più stretta, filtrare, permeare, risalire vincendo la forza di gravità grazie al fenomeno della capillarità. Sa essere perfetto isolante (se distillata) e potente conduttore, ha la capacità di sciogliere altre sostanze e di plasmare, giorno dopo giorno, anche gli oggetti più resistenti: non a caso gli antichi filosofi riconoscevano nell’acqua il più antico e potente degli elementi, uno degli archè all’origine dell’Universo.

Speriamo anche noi, perciò, con la Lampada delle Scienze di riuscire ad essere performanti (ma non dannosi) come l’acqua. Con la pazienza di chi scava, goccia dopo goccia, e anche se con estrema lentezza riesce a creare solchi profondi nella roccia … anche noi cercheremo, storia dopo storia, di raggiungere quante più menti possibili … lasciando loro il piacere che deriva dalla scoperta e la soddisfazione di chi implementa la propria conoscenza.