La scienza della profondità

di Riccardo Federle
– Editoriale

 

Nella foto sono sulla cima del Monte Baldo, che si affaccia sul Lago di Garda: a queste altezze può essere normale soffrire di vertigini. Molte volte, però, ciò che non sappiamo è che la paura dell’altezza (acrofobia) e quella dell’acqua profonda (talassofobia) sono entrambe parte di un unico grande problema, la BATHOFOBIA, ossia la paura della profondità in genere. Crediti: Riccardo Federle

Fare, fare, fare: è la parola del secolo. Siamo tutti irrimediabilmente ed irriducibilmente sopraffatti dal fare: ma ci ricordiamo anche di essere?

Le due cose, infatti, non possono considerarsi distinte e una persona può crescere nel contenuto solo ed esclusivamente se anche il contenitore si adegua ad ogni suo nuovo status. Ecco che allora la vita professionale non può essere scissa da quella personale: una crescita del corpo deve andare di pari passo anche con quella dello spirito.

Non vorrei addentrarmi troppo sul significato di quest’ultimo concetto ma parlando di spirito, tanto per chiarire, non ho intenzione di riferirmi unicamente all’aspetto religioso. Se è pur vero infatti che la fede può risultare un mezzo estremamente efficace per coltivare la nostra interiorità sarebbe alquanto disonesto dire che la crescita umana non possa avvenire in nessun altro contesto al di fuori di quello ecclesiale. Al contrario, siamo tutti chiamati, a prescindere dal nostro credo personale, a coltivarci come uomini e donne in quanto esseri capaci di umanità.

Coinvolgerei volentieri nel discorso, invece, uno dei miei più recenti viaggi che ha abbracciato il sole dell’Andalusia e le immense distese di ulivi che tematizzano, in modo pressoché univoco, i lunghi chilometri disabitati tra le maggiori città spagnole.

A Siviglia, una di queste, non sono resistito alla tentazione di andare a fare visita all’acquario cittadino e, proprio lì, è partita questa mia riflessione.

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Qui sopra alcune foto degli “ospiti” dell’acquario di Siviglia, struttura dedicata alla formazione di una consapevolezza del rispetto di mari e ambiente (crediti: Riccardo Federle)

C’era infatti, tra le altre cose, un curioso pannello che, attraverso una efficace infografica, metteva in correlazione lo spettro luminoso con la profondità delle acque oceaniche. La luce visibile, in realtà, è composta dalla sovrapposizione di onde elettromagnetiche con frequenza diversa e l’acqua funziona da filtro cromatico perché assorbe i vari colori ad una determinata profondità in base alla loro lunghezza d’onda: se le frequenze del rosso e dell’arancione si fermano, però, già ai primi metri… il giallo sembra procedere un po’ di più. Ma attorno ai 20-30 metri lo scenario appare illuminato da una luce verde-azzurro-viola che, man mano che scende in profondità, lascia il posto unicamente al blu sconfinato.

Questa correlazione prettamente scientifica tra luce, colore e profondità mi è sembrata però anche una possibile chiave di lettura (se pur molto filosofica) della vita: sembra infatti che sia necessario raggiungere la profondità per sperimentare le diverse frequenze che ci appartengono e per comprendere fino in fondo tutte le sfumature della nostra esistenza.

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Qui sopra una infografica, simile a quella presentata nell’acquario di Siviglia, che spiega la penetrazione del colore nell’acqua.

Sta tutto nel capire, dunque, come mai questa ricerca interiore non sia un aspetto comune ai più e anche qui posso provare ad azzardare qualche ipotesi: in primis mi verrebbe da dire che si tratta di un problema sociale e culturale. Viviamo infatti una vita scandita dalle lancette di un orologio, con pubblicità televisive che non ci invitano al riposo quanto invece a supplire con gli integratori multivitaminici alla nostra carenza di energie. Prigionieri del tempo che manca e incalzati da economia e finanza finiamo quindi per dimenticare che non è l’uomo fatto per il tempo ma il tempo per l’uomo.

Tuttavia non può mai essere sempre e solo una colpa sociale: dove non manca il tempo, infatti, normalmente, manca la volontà. Ebbene sì: è questa senza dubbio la più problematica e significativa delle cause. Crescere dal punto di vista personale è complesso e dispendioso e lavorare su di sé richiede una enorme fatica mentale: gran parte della gente sembra quindi rinunciare a prescindere a questa possibilità.

È ben chiaro a tutti, quindi, che non si tratta di una strada in discesa? In effetti molto spesso la comprensione è anche una condanna. Capire significa infatti, alla fine dei conti, essere sempre dalla parte di chi deve fare lo sforzo di umanizzare le reazioni dell’altro. Socrate diceva addirittura che “ci sono persone nate per sgobbare ed altre nate per stare a guardare” e che “dalle prime tutti si aspettano di più” mentre “dalle seconde nessuno si aspetta niente” … e ancora che “per le prime non ci sono mai elogi” quando invece “per le seconde è il contrario”.

Io a tutto questo aggiungerei che ci sono tante, tantissime persone che hanno semplicemente paura di sperimentare la profondità che può stare dentro di loro. Questo perché forse può risultare apparentemente conveniente non farlo: ma a discapito di cosa? Del diventare persone migliori, unico vero obiettivo della vita.

Ecco perché, allora, anche La Lampada delle Scienze non vuole essere solo palestra di scienza ma anche scuola di profondità. Vogliamo infatti vivere a pieno ciascuna delle esperienze che stiamo portando avanti. E questo significa elaborare anche piccoli atti concreti: è già il secondo mese, ad esempio, che il mio editoriale si sposta di qualche giorno per lasciare spazio ai lavori dei nostri giovani talenti: anche questa volta, pertanto, trovate un articolo interessante di uno dei soci junior, frutto del lavoro dei progetti scolastici sui quali l’associazione investe molto tempo ed energie.

Ma non mi andava, nonostante tutto, di lasciarvi senza qualche mia parola. Ormai il nostro è diventato un piccolo appuntamento irrinunciabile nel quale offrire pillole di scienza: un piccolo antidoto alla frenesia del fare.